21
settembre 2000
Pomeriggio
Cappuccetto rosso? Cappuccetto rosso? Su, apri
la porta. Su, apri! Non hai sentito il mio toc, toc, toc? Allora vuoi che
soffi? Vuoi che faccio puff? Allora devo aprirla io la porta?
È arrivata.
Oggi è arrivata e ha bussato alla porta della tua roulotte. Eri qui, da solo,
Bryan, e senza timore hai aperto. Ti sei fidato. Che viso aveva? Di un bambino
seduto sulla sella del suo triciclo o di un uomo dagli occhi scintillanti? In
fondo non poteva che essere giovane la sua età come prematura è stata la sua
venuta, Bryan.
Di te, ora,
non resta che questa roulotte e una scatola vuota di Fentanyl.
Cappuccetto rosso? Cappuccetto rosso? Su, apri
la porta. Su, apri! Non hai sentito il mio toc, toc, toc? Allora vuoi che
soffi? Vuoi che faccio puff? Allora devo aprirla io la porta?
Un’estate, ne
è bastata una per cambiarti la vita, come un battito di ciglia e niente più.
Era lei, ha bussato al tuo abitacolo, ma tu eri troppo distratto per accorgertene.
Il 19
giugno 1999, ricordi? Giusto un anno è passato. Alla radio c’era Bob Dylan e
non vedevi l’ora di arrivare a casa. I Boston Red Sox avrebbero vinto, lo
sentivi, mentre pregustavi insieme alla vittoria un’American IPA ghiacciata e un
doppio cheeseburger per la cena. Ma erano ancora le quattro e la strada da fare
troppo lunga, con quell’intenso odore di bistecca che dal frigobar aveva invaso
tutto il minivan Dodge blu. Bullet, il tuo incontenibile rottweiler, aveva
iniziato ad agitarsi festoso e con un balzo era saltato accanto a te, pronto a
seguirne le tracce. Un nome buffo per un cane: Bullet, “proiettile”. Come la
sua rapidità nel raggiungere la preda oppure un segnale recondito che non sei
riuscito a cogliere?
Era estate
e si stava bene, anche a quell’ora, anche con l’impazienza di arrivare presto a
destinazione, anche con quel cagnone da calmare.
Ma eri
distratto e non ti sei accorto di nulla.
Cappuccetto rosso? Cappuccetto rosso? Su, apri
la porta. Su, apri! Non hai sentito il mio toc, toc, toc? Allora vuoi che
soffi? Vuoi che faccio puff? Allora devo aprirla io la porta?
Tredici non
è mai stato un numero fortunato, Bryan, e ora ne avevi la conferma. L’avevi
fatta grossa. Tredici incidenti stradali erano una bella macchia sulla tua
fedina penale, soprattutto se il tredicesimo ha un’identità.
Nome e
cognome: Stephen King.
Professione:
scrittore.
Stato
clinico: Superstite.
Il referto
medico ti aveva fatto inorridire, un po’ come i suoi romanzi, pensi senza
riuscire a sorridere alla sorte.
Polmone destro perforato, gamba destra fratturata in almeno
nove punti, colonna vertebrale lesa, quattro costole spezzate e lacerazione al
cuoio capelluto.
A te,
invece, non restavano che sei mesi al fresco, un anno senza patente e un
profondo senso di vertigine.
Cappuccetto rosso? Cappuccetto rosso? Su, apri
la porta. Su, apri! Non hai sentito il mio toc, toc, toc? Allora vuoi che
soffi? Vuoi che faccio puff? Allora devo aprirla io la porta?
1600 dollari:
il prezzo per avere il tuo minivan blu, il tuo frigobar, i tuoi sedili, il tuo
parabrezza e i tuoi fanalini.
1600
dollari: il prezzo per un primo passo fuori dal Central Maine Medical Center.
1600
dollari e una vettura distrutta.
Ti sei
chiesto: “A quando la prossima seduta psicanalitica?”.
Cappuccetto rosso? Cappuccetto rosso? Su, apri
la porta. Su, apri! Non hai sentito il mio toc, toc, toc? Allora vuoi che
soffi? Vuoi che faccio puff? Allora devo aprirla io la porta?
Oggi è il
21 settembre e la morte ha bussato alla tua porta.
Eri solo e
forse disperato. Da tempo soffrivi di dolori alla schiena. Colpa del peso della
tua coscienza? Non lo saprò mai, so solo che oggi è il 21 settembre e tu non ci
sei, Bryan.
Ho sentito
dire spesso che ad ogni uomo che muore corrisponde un bambino che nasce. Per la
cinquantatreesima volta o come la prima, una vita è sempre una vita, no? Anche
per uno che si chiama Stephen King e fa lo scrittore.
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